MAURO CORRADINI
Il Melabirinto Montichiari Bs, aprile 2005.
Difficile da spiegare, come figura e come etimologia, come significato e come luogo fisico, il labirinto ha una storia complessa e una presenza costante nella cultura che, per sintetizzare, definiamo mediterranea. Dal punto di vista del significato, il labirinto rinvia all'àscia bipenne (disegnata sulle pareti del Palazzo di Cnosso), per cui labirinto indica forse il palazzo effigiato con le asce; rinvia tuttavia anche al concetto di pietra, sia pure "in un modo che rimane peraltro da spiegare", annotava quasi trenta anni fa Hermann Kern, autore di una indagine tra le più accurate sul significato e l'iconografia del labirinto. Al di là dell' origine e del senso, il labirinto è per noi ad un tempo un luogo carico di mistero e di difficoltà, un intrico da superare con angoscia, e un luogo legato ai riti di iniziazione, per cui seguendo il cammino che conduce al centro, una volta giunti si deve compiere un mezzo giro e riprendere il cammino di ritorno: dalla discesa agli inferi alla rigenerazione.
Credo che nelle espressioni artistiche di Vanni Viviani, che a lungo e in diverse occasioni ha indagato il simbolo mediterraneo, il labirinto rappresenti molte e differenti cose: è sicuramente un luogo di memorie e di magie, e altrettanto sicuramente è un luogo in cui perdersi, in cui mutare indirizzo (e destino): rimane dunque nell'idea del pittore gioco e sogno ad un tempo, non volendo l'artista, nemmeno in occasione di un tema così singolare, e calibra­to all'interno del suo lungo lavoro poetico, mutare l'impianto essenziale del suo essere pittore; pittore è colui che indaga e di-mostra, con poesia e con ironia, per gioco e con serietà. Da un lato la verità delle cose, che Vivi ani attinge lucidamente alla memoria ancestrale di una terra contadina, e dall' altro lato la verità della pittura, che non rappresenta, ma crea; non dunque mimesi di una realtà esterna, ma costruzione di una realtà nuova, auto­noma, che con quella esterna ha più di un legame e di un riferimento, distaccandosene tuttavia: di ambivalen­za tra la "citazione iconografica" costruita sui simboli e sulla geometria delle figure, e presenza di elementi "organici" parla lucidamente un quarto di secolo fa, Roberto Sanesi, in una riflessione sull'arte di Viviani legata alla figura del labirinto.
In questo senso, l'opera di Viviani si pone sul crinale di una polisemia, di una ambiguità programmata: dalla verità del senso pittorico (il labirinto o la mela, il luogo o i frutti della terra), alla verità profonda di un segno misterioso, che ci spaventa e ci attrae, luogo di inganno e di sconfitta (perché non ricorrere al mito di Teseo, anche senza il supporto del filo di Arianna?): Viviani è consapevole che nel labirinto ritroviamo e perdiamo le nostre certezze, simbolo ed emblema della complessità contraddittoria: non è allora il labirinto una metafora, inquieta, della vita stessa?
Il filo di Vivi ani non è quello di Arianna, ma è la pittura, che collega i termini del suo viaggio; come se, ogni volta, la sua pittura si muovesse in direzione di una ricerca, sempre costantemente ancorata alla terra, alle origini contadine, e dunque alla verità del ciclo stagionale, che rende tutta diversa la natura e tutta uguale, mutevole e unitaria ad un tempo, cangiante ed essenzialmente stabile, e sempre ancorata alla realtà contingente di un universo men­tale, distaccato, lontano, perduto (sperduto?) in un sogno di magie e di invenzioni linguistiche. Conferma, per questa via, il pittore mantovano, la sua adesione alla scelta espressiva; linguistica, originaria, che si colloca grosso modo nella seconda metà degli anni Sessanta: ha superato la stagione di una figurazione carica di emozioni e brividi, si è accostato all' esperienza pop esclusivamente per trarre dall'iconografia la verità di senso di un segno che comunica e testimonia. Il labirinto di Vanni è la riproposta del mito e la trascrizione di un percorso poetico con cui ha continuato a misurarsi per tutta la vita; il labirinto è l'equivalente della mela, è l'equivalente della "Ca di Pom", verità e artificio, bugie convincenti, diceva Picasso. Il labirinto è un mito mentale, costruito sui ritmi e sulle scansioni di una geometria che sa essere regolare e fantastica nello stesso momento.
Allora nel labirinto di Vanni non si compie una vicenda di iniziazione, ma si invera la bellezza delle forme, sostrato della verità della vita. Mescolando le sue figure, i suoi protagonisti, sovente sono ancora le mele a giocare i ruoli dei protagonisti del labirinto; la mela non incontra alla fine il Minotauro, ma un' altra mela, una sorta di raddoppiamento e/o rispecchiamento che si direbbe corrispondere alle due parti della costruzione labirintica stessa. Lucido nella sua razionalità e lieve, come sa esserlo la poesia, Viviani cerca nel suo girovagare tra i segni e le vie del labirinto la sua memoria d'infanzia. Il labirinto allora è la città (Parma o Milano, o San Giacomo delle Segnate, cui approderà alla fine della sua vita, poco importa), il labirinto è il luogo in cui vivere con le contraddizioni della vita, ma è anche il luogo da vivificare con le ri-costruzioni della memoria: nel labirinto entrano le figure, gli inseguimenti e i giochi dell'infanzia; nel labirinto confluiscono tutti i moti dell'animo e dell'emozione; i personaggi, come le figure della memoria, si distinguono e si confondono: maschile e femminile coincidono, passato e presen­te tendono a incontrarsi, eterno e labile appaiono come le due facce della medesima medaglia, così come gli incastri della costruzione appaiono solidi e fragili, come la siepe che circondava i fossi nella civiltà contadina da cui Viviani ha tratto i suoi simboli. E la perennità rigogliosa della vita.
Il labirinto diviene figura della mente che descrive la nostra eterna essenza; nel labirinto io sono, perché nel labirinto ritrovo i simboli e le contraddizioni della mente: è la quotidianità della vita che mi riporta in superficie, mi consente di abbandonare la memoria, per ritrovarmi nei ritmi piani della quotidianità. E' la via che il pittore mantovano ha scelto, tra i tanti simboli utilizzati, per parlarci del suo essere nel mondo, per parlarci di una vitalità, in cui crede, che risorge costantemente sulla sua dissoluzione (come la vita vegetativa, che rifiorisce tutte le primavere), per dare attraverso un luogo della mitologia un mes_ saggio positivo, di crescita e rigenerazione.
Nicola Micieli 2005
Renzo Margonari 2005
Mauro Corradini 2005
Giorgio Segato 2005
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Luigi Carlucci 1975
Franco Solmi 1972
Giorgio Cortenova 1968
Carlo Munari 1967
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