NICOLA MICIELI
Citazioni da Leonardo a Magritte Milano , novembre 2005.
L'opera pittorica e scultorea di Vanni Viviani è nel suo insieme un cospicuo esempio di metalinguaggio. Ossia di un linguaggio che riflettendosi su se stesso, sul proprio codice, le proprie funzioni linguistiche, la propria storia, trova gli strumenti e la materia per farsi messaggio di incremento creativo. Viviani ha sempre utilizzato morfemi e stilemi, oltre che figure stilistiche e retoriche, del lessico pittorico universale quali referenti non neutri delle diverse manifestazioni del suo segno/mela, metafora umana dalle molteplici valenze, ideografiche e iconiche, non ultima quella di personaggio ubiquitario e polifunzionale, protagonista di storie scioglibili sul piano emblematico piuttosto che narrativo.
La citazione, in quanto aspetto rilevante del metalinguaggio, è intrinseco al suo procedimento creativo. In termini espliciti compare e bastino le "memorie" caravaggesche sin dai primi anni Sessanta, nei polimaterici di appartenenza pop ispirati alla mitografia del mondo rurale padano, da cui discendono archetipi legati alla sacralità della terra, da Viviani riproposti con diverse figure simboliche nel seguito del suo lavoro. Ma è con gli anni Ottanta che diventa una consuetudine la pratica specifica della citazione, intesa come rivisitazione di momenti topici (decorativi, simbolici, iconici, e relativi portati concettuali) storicamente acquisiti dell'arte non solo occidentale, assunti nel laboratorio visivo dell'artista quali materiali di stratificata valenza semantica e culturale.
Su quei materiali Viviani ha operato invadenze, contaminazioni, alterazioni sia formali sia concettuali che interpretandone e attualizzandone gli originari significati, veicolavano in chiave visionaria, e con uno spirito allusivo di sovrana "leggerezza" espressiva, contenuti ideali ed esistenziali del nostro tempo.
Con gli anni Ottanta, dunque, scorrono sulla scena pittorica di Viviani pagine del grande libro dell'arte, segnatamente del Rinascimento e del Barocco e con un'attenzione particolare all'architettura. Leonardo, Paolo Uccello, Piero della

Francesca, Michelangelo, Giulio Romano, Bernini, Caravaggio, Borromini ricorrono accanto a testimonianze anonime delle civiltà umane e a figure simboliche dell'arte moderna e contemporanea. Sono fonti alle quali l'artista ha attinto non già icone sacrali citate per semplice trasposizione visiva, sebbene immagini essenziali in accezione direi quasi alchemica ed ermetica, ossia che attivano processi di mutazione non comprensibili sul piano della logica formale. Modelli simbolici e figurali, dunque, da cui sono scaturite, per elaborazione concettuale di tipo intuitivo e analogico, ulteriori visioni rappresentative della moderna sensibilità.

La citazione ha consentito di istituire connessioni, poniamo, tra le macchine di Leonardo da Vinci e l'architettura di Oscar Niemeyer, tra la stranita prospettiva di Paolo Uccello e la dimensione surreale di Magritte, tra l'assoluto spaziale di Piero della Francesca e la metafisica di De Chirico. E a comprendere la complessità dei processi estetici e cognitivi aperti con la ricerca di siffatte corrispondenze, sarebbe sufficiente indagare Il convito di pietra (1983), la sequenza delle nove grandi tele ispirate all'Ultima cena di Leonardo, vero e proprio santuario della trasmutazione di forma e di senso in cui consiste una funzione essenziale dell'opera d'arte.
Nicola Micieli 2005
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